Personaggi

Giovanni Boccaccio

16 giugno ricorre la nascita (nel 1313) dello scrittore, umanista e filologo italiano (toscano) Giovanni Boccaccio (1313-1375), in Esperanto Johano Bokaĉo
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​una delle tre “colonne” (con Dante Alighieri e Francesco Petrarca) della lingua e della letteratura italiana, famoso soprattutto per la raccolta di novelle “Decamerone”, il cui contenuto ha dato origine (non solo in italiano) al termine “boccaccesco” (= licenzioso).
​In Esperanto è stato pubblicato:
– prima della guerra, la novella “Chichibio” (Kikibjo), trad. Rinaldo Orengo, in “L’Esperanto” 1923-3, pagine 48-49;
– prima della guerra, molti episodi nell’opuscolo “Anekdotoj pri Dante” (Aneddoti su Dante), a cura di Elio Migliorini in base alla biografia di Dante scritta da Boccaccio;
– laŭ la suplemento al la “Rivista italiana di Esperanto” 1931-8,9 (Aktoj pri la Kongreso de Padovo en 1931, paĝoj 213-214) traduka konkurso estis lanĉita de la Itala Katedro de Esperanto, sekve de kiu estis premiitaj la tradukoj de du noveloj de Bokaĉo, faritaj de Michele Arabeno kaj Vincenzo Musella (bedaŭrinde, mi ne trovis tiujn tradukojn);
– secondo il supplemento alla “Rivista italiana di Esperanto” 1931-8,9 (Atti del Congresso di Padova nel 1931, pagg. pagine 213-214 ), un concorso di traduzione fu indetto dalla Cattedra Italiana di Esperanto, in esito al quale furono premiate le traduzioni di due novelle di Boccaccio, fatte da Michele Arabeno e Vincenzo Musella (purtroppo, non ho reperito quelle traduzioni);
– in “Literatura Mondo” 1935-6, p. 118, un articoletto intitolato “Boccaccio: pri la virina beleco” (Boccaccio: della bellezza femminile);
– nel 1987, tre novelle dal Decamerone (tradotte da Amerigo Luigi Reni e Gaston Waringhien), nella “Itala Antologio” (Antologia Italiana), pagine 92-113;
– nel 1995, un intero volume (le prime tre giornate del Decamerone) a cura di Perla Martinelli, Gaston Waringhien e Giulio Cappa, prefazione di Mario Luzi tradotta da Giorgio Silfer, Kooperativo de Literatura Foiro (recensione in “Esperanto de UEA” 1996-11, p. 194);
– molti articoli in “Literatura Foiro” (1991-134, copertina 4; 1991-134, pagg. 7-8; 2014-267, pagg. 18-20; 2015-274, pagg. 96-99).
Trascrivo la traduzione italiana di uno sfizioso articolo dalla trasmissione in Esperanto di Radio Roma dell’11 giugno 1978, ed allego:
– il francobollo emesso dalle Poste Italiane nel 2013 per il settimo centenario della nascita di Boccaccio, ed il relativo annullo speciale;
– le copertine della Itala Antologio e del Dekamerono.


SI AMMIRANO A CERTALDO LE PANTOFOLE DI BOCCACCIO
Testo di Velia Corsini

Più o meno sei secoli fa Giovanni Boccaccio, tormentato dal freddo inverno, si fece costruire un caminetto. Per realizzarlo, i muratori chiusero un piccolo locale di deposito, senza curarsi di sgombrarlo prima dalle cianfrusaglie. Così sono giunte a noi, tra l’altro, nove scarpe: una da bambina, sei da donna, due differenti pantofole da uomo. Verosimilmente sarebbero rimaste lì per secoli, se un bombardamento, durante l’ultima guerra, non avesse distrutto parte dell’edificio. Ed i restauratori, che avevano scrupolosamente raccolto pietre e mattoni, hanno fatto la straordinaria scoperta. Il fuoco del caminetto, probabilmente, liberando il locale di deposito dall’umidità, ha consentito che gli oggetti sopravvivessero intatti per secoli.
Perciò sono arrivate a noi quelle scarpe: mezze rotte, evidentemente anche al loro tempo roba da buttar via. Ma, per noi posteri, sono la sola, concreta testimonianza di scarpe comunemente usate nel quattordicesimo secolo.
Le pantofole da uomo sono comode, delicate, flessibili, cucite a mano, in modo così perfetto che ne restano meravigliati gli odierni esperti, che pensavano di aver inventato tecniche raffinate. “Non abbiamo inventato nulla”, ha commentato uno stilista di calzature. Le pantofole che si indossano appena rientrati a casa, prima di sedersi davanti allo schermo televisivo, non sono diverse, o migliori, di quelle che Boccaccio aveva alla sua scrivania.
Le scarpe da donna sono ugualmente moderne, e sono addirittura più confortevoli di quelle odierne. Il loro tacco è alto al massimo 9 centimetri, in base da una legge che ne prescriveva la massima altezza consentita per tutela della morale. Il nucleo della scarpa era di legno, lavorato in modo che il peso non fosse troppo grande; lo ricopriva una pelle delicata. La parte che tocca il terreno è più larga di quella su cui poggia il piede, per dare un maggior equilibrio; inoltre, la parte che è a contatto con il terreno è concava, affinché la donna non oscillasse per i sassi, ma neutralizzasse gli ostacoli mediante la cavità della scarpa. Si tratta di una tecnica di alto livello, una ricerca di funzionalità, e perfino un tentativo di trovata stilistica.
Le scarpe ritrovate sono ora visibili nella casa di Boccaccio a Certaldo, dentro una custodia di vetro; e i visitatori possono ammirare gli accorgimenti che i calzolai di quei tempi avevano già escogitato per rendere più alte le donne, per consentire loro un incedere solenne, ed insieme per assicurare una comoda camminata su strade accidentate e piene di sassi.

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