Il 23 novembre è l’anniversario della tragica morte per decapitazione (nel 1825) dei patrioti italiani Angelo Targhini (1799-1825) e Leonida Montanari (1800-1825),
it.wikipedia.org/wiki/Angelo_Targhini_e_Leonida_Montanari
giustiziati per il tentato omicidio di un infiltrato in una setta segreta patriottica che agiva nello Stato Pontificio sotto Papa Leone XII.
Molto si è scritto sull’ampio uso della pena di morte in quello Stato, ma non si può giudicare il passato con i criteri del presente; del resto, all’epoca le esecuzioni capitali erano considerate uno spettacolo popolare, a cui far assistere anche i bambini a scopo “educativo”, come appare da un sonetto del poeta romanesco Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863), che trascrivo in romanesco e nelle traduzioni in italiano e in Esperanto.
Aggiungo che nella sua relazione sull’esecuzione a piazza del Popolo il boia (il famoso “Mastro Titta”) scrisse: “Era uno spettacolo imponente. Piazza del Popolo era gremita di gente, come non la vidi mai”.
Allego:
– un’immagine di piazza del Popolo, da una vecchia cartolina; ancora oggi, una lapide sul muro di un edificio della piazza ricorda l’esecuzione capitale;
– la copertina di “Espero katolika” 1964-6/7, con la ghigliottina francese.
68. ER RICORDO
Er giorno che impiccorno Gammardella
io m’ero propio allora accresimato.
Me pare mó, ch’er zàntolo a mmercato
me pagò un zartapicchio e ‘na ciammella.
Mi’ padre pijjò poi la carrettella,
ma prima vorze gode l’impiccato:
e me tieneva in arto inarberato
dicenno: “Va’ la forca cuant’è bella!”.
Tutt’a un tempo ar paziente Mastro Titta
j’appoggiò un carcio in culo, e Tata a mene
un schiaffone a la guancia de mandritta.
“Pijja”, me disse, “e aricordete bene
che sta fine medema ce sta scritta
pe mill’antri che so’ mejjo de tene”.
Giuseppe Gioachino Belli
°°°°°
68. IL RICORDO
Il giorno che impiccarono Gambardella
io m’ero proprio allora cresimato.
Mi pare adesso, che il padrino al mercato
mi pagò un saltapicchio e una ciambella.
Mio padre pigliò poi la carrozzella,
ma prima volle godere l’impiccato:
e me teneva in alto inalberato
dicendo: “Guarda la forca quant’è bella!”.
Tutt’a un tratto al paziente Mastro Titta
gli appoggiò un calcio in culo, e Papà a me
uno schiaffone a la guancia a destra.
“Piglja”, mi disse, “e ricordati bene
che questa fine medesima sta scritta
per mille altri che sono meglio di te”.
Giuseppe Gioachino Belli
°°°°°
REMEMORO
Dum ekzekutotag’ de Gamardelo
mi konfirmaciiĝis kaj, tuj poste,
la prezentinto, ne tro multekoste,
regalis min per kuk’ kaj Pulĉinelo.
Kaleŝon luis paĉjo kun la celo
ĝui la pendigoton antaŭtoste:
kaj diris, min levante premaoste,
“Jen, estas pendigilo! Kia belo!”.
Kiam al la kliento Majstro Tita
piedfrapegis pugon, samminute
vangofrapegis min paĉjo, subita.
“Memoru – diris li – ke ekzekute
aliajn mil fintrafos mort’ merita,
kiuj ja bonas pli ol vi entute”.
Giuseppe Gioachino Belli, trad. Gaudenzio Pisoni
(el “Elektitaj sonetoj de G. G. Belli”)