La legge del 23 novembre 2012, n. 222, ha istituito in Italia la “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera”, da celebrare ogni anno il 17 marzo, “allo scopo di ricordare e promuovere i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e di consolidare l’identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica».
La data del 17 marzo è stata scelta in quanto il 17 marzo 1861 fu promulgata la legge n.1 del Regno d’Italia (che riproduceva la legge n. 4671 del Regno di Sardegna), consistente in un unico articolo, estremamente sintetico:
Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia.
Il nuovo Regno nasceva con un difetto d’origine, perché il suo sovrano rimaneva Vittorio Emanuele “secondo”, in continuità con il Regno di Sardegna, anziché diventare, quale Re d’Italia, Vittorio Emanuele “primo”: questo rendeva evidente che, anziché una condivisa unificazione nazionale, era avvenuto un ampliamento del Regno di Sardegna, il quale aveva annesso le altre regioni del Paese. Questo pesa ancor oggi, poiché a distanza di quasi 160 anni l’unità nazionale non è pienamente realizzata negli spiriti dei cittadini (qualcosa sta cambiando, però, sotto la spinta dell’emergenza per l’epidemia di coronavirus, con l’affermazione di una comune volontà di risorgimento).
C’è da aggiungere che, a rigore, l’Italia del 1861 era diversa da quella attuale: Venezia, Trento, Trieste erano ancora sotto il dominio austriaco; e a Roma governava ancora il Papa. La completa unità fu raggiunta soltanto nel 1919, dopo la prima guerra mondiale; e fu dolorosamente incisa, dopo la seconda guerra mondiale, con la perdita dell’Istria e della Dalmazia. Del resto, nel 1861 l’Italia aveva 30 milioni di abitanti, a fronte degli attuali 60 milioni.
Trascrivo (nell’originale in italiano, e nella traduzione in Esperanto) un brano dal libro “Cuore” di Edmondo De Amicis, ed allego un francobollo italiano del 2011, su bozzetto di Tommaso Trinca, con la bandiera della Repubblica italiana, così come descritta nell’art. 12 della Costituzione repubblicana del 1947:
“La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.
ITALIA
Salutala così la patria, nei giorni delle sue feste: – Italia, patria mia, nobile e cara terra, dove mio padre e mia madre nacquero e saranno sepolti, dove io spero di vivere e di morire, dove i miei figli cresceranno e morranno; bella Italia, grande e gloriosa da molti secoli; unita e libera da pochi anni; che spargesti tanta luce d’intelletti divini sul mondo, e per cui tanti valorosi moriron sui campi e tanti eroi sui patiboli; madre augusta di trecento città e di trenta milioni di figli, io, fanciullo, che ancora non ti comprendo e non ti conosco intera, io ti venero e t’amo con tutta l’anima mia, e sono altero d’esser nato da te, e di chiamarmi figliuol tuo. Amo i tuoi mari splendidi e le tue Alpi sublimi, amo i tuoi monumenti solenni e le tue memorie immortali; amo la tua gloria e la tua bellezza; t’amo e ti venero tutta come quella parte diletta di te, dove per la prima volta vidi il sole e intesi il tuo nome. V’amo tutte di un solo affetto e con pari gratitudine, Torino valorosa, Genova superba, dotta Bologna, Venezia incantevole, Milano possente; v’amo con egual reverenza di figlio, Firenze gentile e Palermo terribile. Napoli immensa e bella, Roma meravigliosa ed eterna. T’amo, patria sacra! E ti giuro che amerò tutti i figli tuoi come fratelli; che onorerò sempre in cuor mio i tuoi grandi vivi e i tuoi grandi morti; che sarò un cittadino operoso ed onesto, inteso costantemente a nobilitarmi, per rendermi degno di te, per giovare con le mie minime forze a far sì che spariscano un giorno dalla tua faccia la miseria, l’ignoranza, l’ingiustizia, il delitto, e che tu possa vivere ed espanderti tranquilla nella maestà del tuo diritto e della tua forza. Giuro che ti servirò, come mi sarà concesso, con l’ingegno, col braccio, col cuore, umilmente e arditamente; e che se verrà giorno in cui dovrò dare per te il mio sangue e la mia vita, darò il mio sangue e morrò, gridando al cielo il tuo santo nome e mandando l’ultimo mio bacio alla tua bandiera benedetta.
TUO PADRE
Edmondo De Amicis, “Cuore”, 1886
°°°°°
ITALUJO.
Salutu vian patrolandon, okaze de ĝiaj festotagoj, per jenaj vortoj: – Itallando, patrujo mia, lando nobla kaj kara, kie mia patro kaj mia patrino naskiĝis kaj estos entombigataj, kie mi esperas vivi kaj morti, kie miaj filoj kreskos kaj mortos; Italujo bela, granda kaj glora de multaj jarcentoj, unuigita kaj libera de malmultaj jaroj; kiu disradiigis tiom da lumo de superhomaj intelektuloj en la mondon, kaj por kiu tiom da bravuloj mortis sur la batalkampoj kaj tiom da martiroj sur la eŝafodo; patrino majesta de tricent urboj kaj de tridek milionoj da filoj; mi, knabo, kiu ankoraŭ vin ne komprenas kaj plene ne konas, mi vin respektegas kaj amas per mia tuta animo, kaj estas fiera esti naskiĝinta de vi kaj nomiĝi filo via. Mi amas viajn tre belajn marojn kaj viajn superbelajn Alpojn, mi amas viajn solenajn monumentojn kaj viajn ne forpasontajn memoraĵojn, mi amas vian gloron kaj vian belecon; mi vin amas kaj respektegas entute samkiel tiun ŝatatan parton de vi, kie unuafoje mi vidis la sunon kaj aŭdis vian nomon. Mi sentas por vi ĉiuj solan amon kaj saman dankon, Torino braveca, Ĝenovo fiera, klera Bologna, Venecio ensorĉa, Milano potenca; saman respektegon mi sentas al vi, Florenco ĝentila kaj Palermo timiga, Napoli grandega kaj bela, Romo miriga kaj eterna. Mi amas vin, patrujo sankta! Kaj mi ĵurpromesas, ke mi amos ĉiujn filojn viajn kiel fratojn miajn; ke mi ĉiam enkore honoros viajn vivantajn kaj viajn mortintajn grandulojn; ke mi estos civitano laborema, honesta, persiste zorgante mian nobligon por igi min inda je vi, por helpi per miaj malmultaj fortoj por ke, iun tagon, el via tero malaperu mizero, malklereco, maljusteco, krimo, kaj por ke vi povu vivi kaj pligrandiĝi trankvile, en la majesto de via rajto kaj de via forto. Mi ĵurpromesas, ke mi servos al vi, kiel estos al mi eble, per mia talento, per miaj brakoj, per mia koro, humile kaj maltime, kaj, ke se venos tago, en kiu mi devos fordoni por vi mian sangon kaj mian vivon, mi fordonos mian sangon kaj mortos kriante al la ĉielo vian sanktan nomon kaj sendante mian lastan kison al via flago benata.
Edmondo De Amicis, “Cuore” (Koro), 1886, trad. Ettore Fasce