Il 29 gennaio è l’anniversario della morte (nel 1842) del generale napoleonico francese Pierre Jacques Étienne, visconte di Cambronne (1770-1842),
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passato alla storia, più che per il valore dimostrato in numerosi fatti d’arme, per una singola parola, che avrebbe pronunciato il 18 giugno 1815, durate la battaglia di Waterloo.
All’invito degli inglesi di arrendersi, Cambronne oppose un netto rifiuto; ma qui le versioni divergono, perché secondo il racconto ufficiale Cambronne avrebbe risposto: «La garde meurt mais ne se rend pas!» (La guardia muore, ma non si arrende!), mentre, secondo un racconto meno ufficiale, avrebbe detto semplicemente “Merde!”.
La parola francese “merde” (come l’italiana “merda”) deriva dal latino “merda”, di controversa etimologia, nel senso primario di “escrementi, sterco, feci”, in quello secondario di “letame”, e in quello figurato di “cosa o persona ignobile, di nessun valore”.
www.littre.org/definition/merde
È un termine “volgare”, da non usare nella buona società, spesso indicato (quando proprio è necessario) con la sola lettera iniziale, oppure sostituito con parole più accettabili, ma così si rischia di perdere l’effetto dirompente della parola; ad esempio, quando Paolo nella Lettera ai Filippesi 3,8 dice in greco che considera “skùbala” tutto il passato di cui liberarsi, la Vulgata latina di San Girolamo traduce “stercora” (abbastanza fedelmente all’originale), però le versioni in italiano parlano più pudicamente di “spazzatura”, mentre l’intenzione di Paolo era proprio quella di dire “merda”.
Dante Alighieri non si pone questi scrupoli; conosce sì il termine “sterco”:
giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi parea mosso.
Inferno 18, 112-114
Ma, quando vuole essere più incisivo, adopera “merda” e merdoso”:
la corata pareva e ‘l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.
Inferno 28, 25-27
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parea s’era laico o cherco.
Inferno 18, 115-117
quella sozza e scapigliata fante
che là si graffia con l’unghie merdose
Inferno 18, 130-131
Un ampio uso, poi, lo fa il poeta Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863); ne trascrivo un sonetto, in romanesco e nella traduzione in Esperanto.
Allego una vecchia cartolina con la cavalleria francese a Waterloo
1170. LI DU’ GENER’UMANI
Noi, se sa, ar Monno semo usciti fori
impastati de merda e de monnezza.
Er merito, er decoro e la grannezza
sò tutta marcanzia de li Signori.
A su’ Eccellenza, a su’ Maestà, a su’ Artezza
fumi, patacche, titoli e sprennori;
e a noantri artigiani e servitori
er bastone, l’imbasto e la capezza.
Cristo creò le case e li palazzi
p’er prencipe, er marchese e ‘r cavajere,
e la terra pe noi facce de cazzi.
E quanno morze in croce, ebbe er penziere
de sparge, bontà ssua, fra tanti strazzi,
pe quelli er zangue e pe noantri er ziere.
Giuseppe Gioachino Belli
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LA DU HOMAJ GENROJ
Ni en la mondon venis el fetoro
el knedo de la merdo kun fatraso,
dum apartenas al nobela klaso
meritoj, pompoj, deco kun la gloro.
Por ili, moŝtoj de la reĝa raso,
eterna or-medal’, titol’, honoro;
por ni, la homoj kun peza laboro,
batadoj, kolaj bridoj, tempopaso.
Kristo starigis domojn kaj palacojn
por suverenaj princoj de ĉi-tero;
al ni kaculoj lasis grundo-spacojn.
Bonkore el la kruco dum sufero
Li verŝis sangon kiu donas gracojn:
por ili, dum al ni restis la sero.
Giuseppe Gioachino Belli,
trad. Carlo Sarandrea (4.3.2005)