Il 3 luglio la Chiesa cattolica ricorda l’Apostolo Tommaso, il cui nome in aramaico significa “Gemello” (il Vangelo di Giovanni lo presenta con il soprannome greco “Didimo”, che significa ugualmente “Gemello”).
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Tommaso è venerato come Santo anche dalla Chiesa ortodossa e da quella copta; ed a lui si ispirano i cristiani dell’India, in particolare quelli del Kerala, la cui evangelizzazione sarebbe stata iniziata proprio da Tommaso.
Le spoglie di San Tommaso (o meglio, quelle che si ritengono le sue spoglie) si trovano in Italia, ad Ortona in Abruzzo, dove furono trasportate nel 1258 dall’isola greca di Chio; ma secondo altre tradizioni Tommaso sarebbe morto e sarebbe stato sepolto in India.
Nella cultura occidentale, San Tommaso è protagonista di un modo di dire:
– “essere come San Tommaso”, in italiano;
– “to be a Doubting Thomas” (essere un dubbioso Tommaso), in inglese;
– “ein ungläubiger Thomas sein” (essere un incredulo Tommaso), in tedesco;
– “voir pour croire, comme saint Thomas” (vedere per credere, come San Tommaso), in francese,
– “ser como San Thomas” (essere come San Tommaso), in spagnolo,
cioè: essere incredulo e dubitare ad oltranza, credere soltanto a quello di cui si ha diretta e concreta esperienza.
L’espressione si rifà ad un passo del Vangelo di Giovanni, capitolo 20, versetti 19-29:
19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22 Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23 A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27 Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28 Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
In realtà, Tommaso non è stato trattato bene dalla devozione popolare, alimentata da predicazioni non adeguate, che insistono soprattutto sulla bellezza di credere senza prove: è diventato il prototipo di chi non crede, magari per posizioni di principio, e si arrende (eventualmente!) solo davanti all’evidenza, mentre il dubbio non è in sé un fatto negativo, ma è uno stimolo per una consapevole ricerca.
E difatti, Tommaso è l’esempio di chi è alla ricerca spasmodica di qualcosa in cui credere; quando dice “Io non credo”, in fondo manifesta non già una incredulità preconcetta, ma un desiderio di credere malgrado l’apparenza contraria, come quando, di fronte a una bella notizia inaspettata, si esclama “Non ci posso credere!”, intendendo dire il contrario: “È così bello che faccio fatica a crederci!”.
E Tommaso, questo preteso modello di “incredulità”, è, invece, proprio l’Apostolo che manifesta una fede senza riserve, esclamando «Mio Signore e mio Dio!»: e questo senza bisogno di mettere il dito nelle piaghe del Cristo risorto (il Vangelo non lo dice: il “dito nella piaga” – altro modo di dire rimasto nella lingua italiana – è un’invenzione degli artisti che hanno rappresentato la scena).
Allego l’immagine della statua di San Tommaso, opera di Andrea Verrocchio (1435-1488), all’esterno della chiesa di Orsanmichele a Firenze.