Il 25 marzo è l’anniversario della morte (nel 1306) di Jacopone da Todi, francescano, beato, uno dei più importanti poeti italiani del trecento
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Jacopone da Todi (una cittadina non lontana da Assisi), vissuto in pieno Medioevo – nacque tra il 1230 ed il 1236, morì nel 1306, quindi fu all’incirca contemporaneo di Dante Alighieri (1265-1321) e Giotto di Bondone (1266-1337), e visse subito dopo Francesco d’Assisi (1182-1226) – fu, all’inizio, un notaio sposato.
La sua vita cambiò improvvisamente quando, durante una festa da ballo, il pavimento della stanza crollò, e la moglie morì. Allora si fece francescano laico della regola più rigorosa, e lottò tanto vigorosamente contro le deviazioni dei rami più indulgenti dell’ordine francescano che fu imprigionato da Papa Bonifacio VIII (divenuto Papa dopo il “gran rifiuto” di Celestino V,
e combattuto da Dante Alighieri).
Per umiltà, si cambiò anche il nome, da Jacopo a Jacopone (in questo caso, in senso peggiorativo, Jacopaccio).
In epoca successiva fu proclamato beato, e la sua festa cade il 25 marzo, il giorno della sua morte, perché per la Chiesa cattolica il giorno della vera nascita (quella al cielo) è il giorno della morte corporale.
Trascrivo (in italiano e nella traduzione in Esperanto) la più celebre delle composizioni poetiche di Jacopone, la “Lauda della Crocifissione”. Si tratta di una lirica drammatizzata, quasi uno spettacolo teatrale (era rappresentato nelle piazze) sulla Crocifissione di Gesù (che non ha titolo nell’originale, ma abitualmente è citato come “Il pianto della Madonna”).
È da dire che a Jacopone sono attribuite anche molte altre opere, tra cui la famosa “Stabat mater” in latino, musicata tra gli altri da Domenico Scarlatti, Antonio Vivaldi, Giovanni Battista Pergolesi, Gioachino Rossini, Antonín Dvořák.
La Lauda ha come personaggi il Nunzio, la Madonna, San Giovanni Evangelista e il popolo. Sono trattati i momenti essenziali della Passione, e l’attenzione principale è riservata alla cruda descrizione della crocifissione.
Oggi può dare fastidio quella forma cruda, perché il mondo accetta più volentieri l’idea di un Dio lontano, o che, fattosi uomo, non soffrì in modo completo: questo fa sì che ci si senta meno responsabili delle torture inflitte.
La lingua della lauda è arcaica, piena di termini regionali e storpiature, sicché l’italiano di oggi fa molta fatica a capirla, ed ha assolutamente bisogno di note esplicative o addirittura di una traduzione nell’attuale lingua corrente: tanto più, quindi, è notevole il frutto della sua traduzione in Esperanto, una delle più brillanti dell’esperantista romano Enrico Dondi (1935-2011), eo.wikipedia.org/wiki/Enrico_Dondi
Allego un ritratto di Jacopone da Todi, conservato nel Museo Civico di Prato.
LAUDA DELLA CROCIFISSIONE
(IL PIANTO DELLA MADONNA)
Nunzio:
Donna de paradiso,
lo tuo figliolo è priso,
Iesu Cristo beato.
Accurre, donna, e vide
che la gente l’allide!
Credo che lo s’occide,
tanto l’on flagellato.
Madonna:
Como esser porria,
che non fe’ mai follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?
Nunzio:
Madonna, ell’è traduto,
Iuda sì l’ha venduto;
trenta denar n’ha ‘vuto,
fatto n’ha gran mercato.
Madonna:
Succurri Magdalena!
Ionta m’è adosso pena!
Cristo figlio se mena,
com’è annunziato.
Nunzio:
Succurre, donna, aiuta,
ca ‘l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
honlo dato a Pilato.
Madonna:
O Pilato, non fare
el figlio mio tormentare,
ch’io te pozzo mustrare
como a torto è accusato.
Folla:
Crufige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo nostra lege
contradice al senato.
Madonna:
Prego che me ‘ntennate,
nel mio dolor pensate;
forsa mo’ ve mutate
de che avete pensato.
Nunzio:
Traàm for li ladruni,
che sian suoi compagnuni:
de spine se coroni,
ché rege s’è chiamato!
Madonna:
O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustiato?
Figlio, occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si’ lattato?
Nunzio:
Madonna, ecco la cruce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
dèi essere levato.
Madonna:
O croce, che farai?
El figlio mio torrai?
Como tu ponirai
chi non ha en sé peccato?
Nunzio:
Succurri, piena de doglia,
ca ‘l tuo figliol se spoglia:
la gente par che voglia
che sia martirizzato!
Madonna:
Se i tollete el vestire,
lassatelme vedere,
come el crudel ferire
tutto l’ha ensanguenato!
Nunzio:
Donna, la man li è presa,
e nella croce è stesa;
con un bollon l’hon fesa,
tanto lo ci hon ficcato.
L’altra mano se prende,
e nella croce se stende,
e lo dolor s’accende,
ch’è più moltiplicato.
Donna, li pè se prenno
e chiavellanse al lenno;
onne iontur’aprenno,
tutto l’hon sdenodato.
Madonna:
E i’ comenzo el corrotto:
figlio, lo mio deporto,
figlio, chi me t’ha morto,
figlio mio dilicato?
Meglio averiano fatto
che’l cor m’avesser tratto,
che ne la croce è tratto,
stace desciliato!
Gesù:
Mamma, ove si’ venuta?
Mortal me dai feruta,
ca ‘l tuo pianger me stuta,
che ‘l veio sì afferrato.
Madonna:
Figlio, che m’aio anvito,
figlio, pate e marito!
Figlio, chi t’ha ferito?
Figlio, chi t’ha spogliato?
Gesù:
Mamma, perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve ei miei compagni,
ch’al mondo aio acquistato.
Madonna:
Figlio, questo non dire:
voglio teco morire;
non me voglio partire
fin che mo’ m’esce ‘l fiato.
Ch’una aiam sepoltura,
figlio de mamma scura:
trovarse en afrantura
mate e figlio affocato!
Gesù:
Mamma col core afflitto,
entro le man te metto
de Ionne, mio eletto:
sia tuo figlio appellato.
Ioanni, esto mia mate:
tollela en caritate,
aggine pietate,
ca ‘l cor sì ha forato.
Madonna:
Figlio, l’alma t’è ‘scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!
Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, a chi m’apiglio?
Figlio, pur m’hai lassato!
Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’ha ‘l mondo,
figlio, così sprezzato?
Figlio dolze e piacente,
figlio de la dolente,
figlio, hatte la gente
malamente trattato!
Ioanni, figlio novello,
mort’è lo tuo fratello:
ora sento ‘l coltello
che fo profitizzato.
Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate:
trovarse abbraccecate
mate e figlio impiccato.
Jacopone da Todi
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LA PLORO DE LA MADONO
Anoncisto:
Aŭdu, virino dia,
kaptita filo via,
estas, Jezu’ beata.
Venu, virino, ekkoni:
forte lin batas oni,
volas mortigon doni,
li estas skurĝegata.
Madono:
Kiel ajn tio estas,
se kulp’ en li ne nestas,
kaj oni lin arestas,
Kristo, esper’ amata?
Anoncisto:
Madon’, perfido venis:
Judas’ la vendon tenis,
tridek denarojn prenis
premio de l’ merkato.
Madono:
Min helpu, Magdalena:
venis novaĵ’ ĉagrena:
estas, laŭ diro jena,
Kristo, la fil’, batata.
Anoncisto:
Virino, help’ necesas:
insulti lin ne ĉesas
oni, sed lin adresas
al juĝo de Pilato.
Madono:
Pilato, ne konsentu,
ke oni lin turmentu,
ĉar pruvojn mi prezentus:
li estas misjuĝata.
Popolo:
Al li la kruco-streĉo:
kiu sin diras reĝo,
agas, laŭ nia leĝo,
kontraŭe de l’ Senato.
Madono:
Li aŭdu, mi esperas:
kaj vi ne plu koleras,
se vi nur konsideras
pri mia kor’ premata.
Anoncisto:
Ŝtelistojn oni tiras,
kiuj kunule iras.
Popolo:
Kiu sin reĝo diras,
estu per dorn’ kronata!
Madono:
Ho filo, filo, filo,
filo, lilia brilo,
ĉu eblas nun konsilo
al mia kor’ ŝirata?
Ho filo, ĝojo sola,
vi restas senparola:
de l’ nutra brust’ konsola
vi tenas vin kaŝata.
Anoncisto:
La kruco jen, Madono:
ĝin portas garnizono,
kie la vera bono
nun estas alfiksata.
Madono:
Ĉu kruc’, vi persekutos
kaj l’ filon ekzekutos?
Kaj kion vi imputos
kontraŭ senpeka stato?
Anoncisto:
Venu, jen kio estas:
la homoj lin malvestas
kaj ili pete gestas,
ke estu li najlata.
Madono:
Ho jes, lin metu nuda,
ke mi lin vidu tuta:
kiel pro l’ bato kruda
li estas sangŝutata!
Anoncisto:
La manon oni kaptas,
ĝin al la kruc’ adaptas,
per najlo fende traktas:
ĝi estas traborata.
Kaj jen la man’ alia
fiksa al kruco fia:
doloro iĝas plia,
ĉar nun duobligata.
Jen fiksa krur’ post kruro
sur ligno de torturo:
ĉiu artikstrukturo
estas en li streĉata.
Madono:
Jen mia plor’ amara:
ho filo, filo kara,
ho filo senkompara,
de kiu mortigata?
Pli bone oni agus,
se oni min trasagus,
ol vin kruele plagus
sur kruco ĉagrenata.
Kristo:
Patrino, ĉu vi ĉea?
Ĝi estas vundo pleja,
ĉar premas min la trea
dolor’ de vi montrata.
Madono:
Mi ploras ja sen ĉeso:
vi, filo, patro, edzo:
filo, kun ĉi krudeco
de kiu, fil’, traktata?
Kristo:
Patrin’, for la lamento;
vi restos por atento
kaj zorgo de la gento
en mond’ de mi savata.
Madono:
Kion, ho fil’, vi diras?
Kunmorti mi deziras:
mi restas, ĝis mi spiras,
nur apud vi kroĉata.
En unu tombo sola,
fil’ de patrino plora,
restos en kun’ dolora
patrin’ kaj fil’ kompata.
Kristo:
Patrin’, dolora amo,
restos en via mano
la plejamat’, Johano:
li estu fil’ nomata.
Johan’, mian patrinon
prenu ĉe vian sinon:
donu konsol-esprimon
al ŝia kor’ ŝirata.
Madono:
Filo, vi estas morta,
filo de la missorta,
filo de la senforta,
ho filo venenata;
blanka kaj ruĝa filo,
ho filo sen similo,
ho fil’, kia helpilo
filo, al mi lasata?
Ho filo blonda, blanka,
filo, vizaĝ’ senmanka,
filo, al vi maldanka
estis la mond’ malŝata.
Ho filo dolĉa, bela,
filo de la sufera,
en manier’ kruela
ho filo mistraktata.
Johano, fil’ alia,
jen mortis frato via!
De l’ profetita fia
tranĉil’ estas borata
kun filo la patrino
en sama mort-destino:
restas en unu fino
patrin’ kun fil’ ligata.
Jacopone da Todi, trad. Enrico Dondi
(“Itala Antologio”, COEDES/ FEI, Milano, 1987, p. 25-32)