Il 3 novembre è la festa liturgica di San Giusto (in latino, Iustus), Patrono di Trieste
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A dire il vero, la festa cadrebbe il 2 novembre, nell’anniversario del martirio del Santo nel 303; però, dal 1919 la festa a Trieste (solo a Trieste!) è stata spostata al 3 novembre, ufficialmente per evitare la coincidenza con la Commemorazione dei Defunti (2 novembre), ma più probabilmente per fare in modo che la festa religiosa coincidesse con la ricorrenza della data (3 novembre 1918, esattamente un secolo fa) in cui, al termine della prima guerra mondiale, la prima nave da guerra italiana (“Audace”) gettò l’ancora nel porto di Trieste,
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a un molo, che per questo motivo fu ribattezzato “Molo Audace”, ma che i triestini continuano a chiamare “Molo San Carlo”.
Giusto fu martirizzato perché non volle obbedire all’ordine dell’Imperatore Diocleziano di sacrificare agli dèi pagani; dopo essere stato ucciso, fu gettato in mare, legato a pesi che lo trascinarono a fondo; ma poi i legami si sciolsero e il corpo riemerse, finendo sulla spiaggia. Gli fu data sepoltura vicino al luogo del ritrovamento; molti secoli dopo, su un colle dove prima era un tempio pagano, fu costruita una piccola chiesa per ospitare le spoglie del Santo; all’inizio del XIV secolo, la chiesetta fu unita a quella adiacente dedicata a Santa Maria Madre di Dio, formando insieme quella che adesso è la Cattedrale di Trieste
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Amo Trieste, e mi riconosco in questi versi di Umberto Saba:
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Amo Trieste anche per le sue particolarità meteorologiche (o malgrado esse?), soprattutto per l’impetuoso vento del nord, la “bora” (deformazione di “Borea”, perché proviene da nord-est; in pratica, proviene dalla Slovenia/ Croazia, tanto che in friulano uno dei suoi nomi è “vint sclav”, cioè “vento slavo”). È un vento che spazza via tutto, nel bene e nel male: non solo alberi e comignoli, ma anche l’aria inquinata; talmente impetuoso, che un mulino a vento, installato appunto nella “via del molino a vento”
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resistette pochi anni, prima di essere distrutto dalle raffiche (troppa grazia, sant’Antonio!).
A quanto si dice, la bora influisce sul carattere dei triestini, in due modi completamente opposti: da un lato, in triestino “imborezà” (invaso dalla bora) indica una persona supereccitata, iperattiva (ed aggiungo che, secondo alcuni, per la loro espansività i triestini sono “i meridionali del nord”); dall’altro, sembra che la bora possa avere anche un effetto depressivo, tanto che la si porta a spiegazione dell’atteggiamento introverso di taluni personaggi, in particolare di James Joyce (1882-1941)
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(del quale parlerò in altra occasione)
e Italo Svevo (1861-1928)
(sul quale Giampiero Mughini ha scritto un bellissimo libro, “In una città atta agli eroi e ai suicidi – Trieste e il caso Svevo”, Bompiani, Milano 2011).
L’originalità di Trieste, paradossalmente, sta nella sua mancanza di originalità, nel senso che è un misto di culture, di lingue, di religioni: basti pensare che a Trieste ci sono 7 diversi cimiteri, per rispondere alle esigenze differenziate della popolazione; e la lapide che ricorda l’Imperatrice d’Austria Maria Teresa
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è scritta in 16 lingue.
Trascrivo, al riguardo (in dialetto triestino, nella mia traduzione letterale in prosa con note esplicative, e nella traduzione in Esperanto di Edvige Tantin Ackermann ed Elda Doerfler), la poesia “Sangue triestin” (Sangue triestino – Triesta sango) di Laura Borghi Mestroni, che ben presenta la cosmopolita realtà triestina (da “Quando fiorissi el mandorlo…, poesie triestine in Esperanto” – Kiam ekfloras la migdalarbo…, Associazione Esperantista Triestina, Trieste 2015).
Allego due foto, fatte a distanza di 70 anni l’una dall’altra, che mostrano due singolari spettacoli che, d’inverno, si possono vedere a Trieste:
– la bora (febbraio 1942, poco prima della mia nascita);
– le onde del mare ghiacciate in porto per il gelo (12 febbraio 2012, quando prestavo servizio a Trieste).
SANGUE TRIESTIN
Mio pare patoco, mia mare furlana,
e nona paterna po’ xe carinziana,
bisnonno, sicuro el iera polacco,
su moglie defonta, vigniva del tacco (1).
Ma nona de nona, mi son “Debegnac” (2),
de sbris col francese ga avu el patatrac,
de Napolion xe restai impatai
con mule nostrane parechi soldai.
La suocera zerto, xe proprio ungherese,
la magna con paprika fin le zariese.
Per questo el cudic la ga sempre mia moglie,
se pur la ga el pare che vien de Hrastovljie (3),
mia nora xe inveze ‘na grega corfiota,
ebreo ghe xe el pare, la mare cesota.
Che raza che semo? Ma ciò, fiol de un can,
te senti, jebenti (4), che parlo italian!
E in quanto a caratere estro e morbin,
per marca de fabrica son Triestin.
Laura Borghi Mestroni
(“Quando fiorissi el mandorlo…
Kiam ekfloras la migdalarbo…”,
AET, Trieste 2015, p. 54)
“Tacco”: la regione meridionale italiana Puglia, che ricorda il tacco dello “Stivale” italiano.
Debegnac: personaggio tipico del giornale satirico triestino “La Cittadella”.
(3) Hrastovljie, in italiano Cristoglie: villaggio sloveno dell’Istria settentrionale, a 25 km da Capodistria/ Koper.
(4) Jebenti: storpiatura di una scurrile esclamazione slovena (“jebem ti mater”).
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SANGUE TRIESTIN
Mio padre triestino autentico, mia madre friulana,
e la nonna paterna poi è carinziana,
il bisnonno, di sicuro era polacco,
sua moglie defunta, veniva dal tacco (1).
La nonna di mia nonna, sono “Debegnac” (2),
per caso con il francese ha fatto il patatrac,
di Napoleone son rimasti impattati
con le ragazze nostrane parecchi soldati.
La suocera, certo, è proprio ungherese,
mangia con la paprika perfino le ciliegie.
Per questo il diavolo ha sempre mia moglie,
sebbene abbia il padre che viene da Hrastovlje (3),
mia nuora è invece una greca di Corfù,
ebreo è il padre, la madre bigotta.
Che razza siamo? Ma via, figlio d’un cane,
lo senti, jebenti (4), che parlo italiano!
E in quanto a carattere, estro e vivacità,
per marchio di fabbrica sono Triestino.
Laura Borghi Mestroni, trad. Antonio De Salvo
(“Quando fiorissi el mandorlo…
Kiam ekfloras la migdalarbo…”,
AET, Trieste 2015, p. 54)
“Tacco”: la regione meridionale italiana Puglia, che ricorda il tacco dello “Stivale” italiano.
Debegnac: personaggio tipico del giornale satirico triestino “La Cittadella”.
(3) Hrastovljie, in italiano Cristoglie: villaggio sloveno dell’Istria settentrionale, a 25 km da Capodistria/ Koper.
(4) Jebenti: storpiatura di una scurrile esclamazione slovena (“jebem ti mater”).
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TRIESTA SANGO
Paĉjo aŭtente triesta, panjo friula,
patra avino ja el Karintio,
praavo, certe polo li estis,
lia forpasinta edzino, venis el “Kalkanumo” (1).
Tamen avino de avino, mi estas “Debegnac” (2),
hazarde kun franco havis kraŝon,
de Napoleono kun niaj ulinoj enkaptiĝis pluraj soldatoj.
La bopatrino certe, estas tute hungara,
eĉ ĉerizojn kun papriko ŝi manĝas.
Tial la diablon mia edzino havas ene ĉiam,
malgraŭ ke ŝia patro devenas el Hrastovlie (3),
mia bofilino cetere estas korfua grekino,
juda ŝia patro, bigota la patrino.
El kiu raso ni estas? Hej, hundaĉfil’,
ĉu vi ne aŭdas, jebenti (4), ke itale parolas mi!
Kaj rilate al karaktero, fantazio kaj vervo,
pro fabrika marko mi estas Triestan’.
Laura Borghi Mestroni
trad. Edvige Tantin Acketmann/ Elda Doerfler
(“Quando fiorissi el mandorlo…
Kiam ekfloras la migdalarbo…”,
AET, Trieste 2015, p. 55)
Kalkanumo: itale “Tacco”: ĝi indikas la sud-orientan italan regionon Apulio (similan al kalkanumo de la itala “Boto”).
Debegnac: tipa rolantino de la triesta satira gazeto “La Cittadella”.
(3) Hrastovlie, en la itala Cristoglie: slovena vilaĝo situanta en norda Istrio, je 25 km de Koper/ Capodistria.
(4) Jebenti: kripligo de vulgara slovena esprimo (“Jebem ti mater”).