Una singolare coincidenza.
Negli anni ’50 dello scorso secolo, la rivista della FEI “L’Esperanto” si stampava, a Torino, in via Oddino Morgari 23
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non lontano da via Saluzzo 44, dove aveva sede la FEI.
Ma chi era Oddino Morgari, la cui nascita ricorre il 16 novembre?
Oddino Morgari (Torino, 16 novembre 1865 – Sanremo, 24 novembre 1944)
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è stato un politico e giornalista; deputato socialista, fu anche un convinto ed attivo esperantista (tra l’altro, fu tra i fondatori della FEI nel 1910).
Così ne parla Carlo Minnaja nel suo libro Un secolo di traduzioni letterarie dall’italiano in esperanto (1890 – 1990):
>Oddino Morgari, influente deputato socialista, per anni diresse la rivista popolare Sempre Avanti di Roma, che aveva una pagina dedicata all’esperanto. Morgari aveva visitato la sede dell’UEA a Ginevra e da quella esperienza aveva tratto lo spunto per scrivere alcuni articoli pubblicati tra il 19 e il 27 agosto 1915 su l’Avanti!, articoli che poi furono riuniti in un opuscolo intitolato La più internazionale delle internazionali.
Trascrivo un articolo di Gian Carlo Fighiera, tratto da “L’Esperanto” 1951-10, p. 60-62, ed allego:
-la prima pagina del bollettino numero 1 della Federazione Esperantista Italiana (aprile 1910) con il resoconto della fondazione della FEI;
– un articolo della stessa epoca, tratto da “Brita Esperantisto” 1910-5, p. 99.
«La più internazionale delle internazionali»
nel pensiero dell on. Oddino Morgari
Riportando il pensiero di Oddino Morgari, siamo convinti di presentare un pensiero lucido, denso di riflessione e fra i piò autorevoli che potessimo raccogliere. Ringraziamo la famiglia Morgari e particolarmente il Prof. Rodolfo Morgari, la signora Margherita Morgari, l’Ing. Ingaramo, che divise con lui l’esilio a Parigi, e l’On. De Michelis, vecchio compagno di partito, per le informazioni concesseci, che ci permettono di pubblicare particolari veramente inediti.
Non è possibile parlare con alcuno di Oddino Morgari – fra quanti l’hanno conosciuto – senza vedere visi commuoversi e gli occhi farsi lustri lustri. Ormai la storia del più povero dei deputati, di colui che si privava della giacca e della camicia per vestire i pezzenti della strada, si va facendo mito e si racconta come una fiaba, con gli occhi lontani e la voce sommessa. Quanto veniamo a raccontarvi della sua vita è conosciuto da pochi. È la storia di un uomo che girò tutto il mondo, dall’Africa all’America, dall’Europa all’Estremo Oriente, conoscendo solo un po’ di francese e una lingua internazionale chiamata Esperanto.
Quando nel 1910 il Governo lo mandò in Giappone a studiare la coltivazione dei bachi da seta e la fabbricazione dei cappelli di paglia, Oddino Morgari decise di servirsi dell’Esperanto, che aveva imparato nella sua gioventù. A mezzo dell’Associazione Universale di Esperanto prese contatto con gli esperantisti del luogo e al suo arrivo decine di persone erano mobilitate in tutte le città del Celeste Impero per accompagnarlo, fargli da guida e fornirgli tutte le informazioni che desiderasse. Benché convinto della bontà teorica dell’Esperanto, fino allora non si era mai reso conto della sua utilità pratica e della sua diffusione. L’esperimento del Giappone lo entusiasmò talmente che da tiepido cultore della lingua internazionale ne divenne il più fervente propagandista. Erano allora i tempi in cui Oddino (che non resisteva alla tentazione di regalare tutto ai più poveri di lui), non potendo permettersi una camera ammobiliata a Roma (di indennità parlamentare non si parlava ancora) sfruttava l’abbonamento ferroviario concesso ai deputati dormendo in treno e viaggiando tutta la notte da Roma a Genova e viceversa. L’Internazionale socialista non aveva dato i risultati che sperava e non tutti coloro che si professavano internazionalisti, lo erano in realtà. Egli comprese come il fattore linguistico potesse contribuire a far cadere le barriere fra gli uomini, superando uno dei più grossi ostacoli all’amicizia internazionale. L’Esperanto gli offriva la visione di un grande popolo disperso nel mondo, una «supernazione» come lo definiva nei suoi articoli; un popolo che aveva la sua lingua, la sua letteratura e che soprattutto professava il vero internazionalismo, non riconoscendo divisioni di patria, religione, razza e convinzioni politiche. Fu così che nel programma politico di Oddino Morgari, si inserì anche il problema della lingua internazionale. Nei suoi comizi, nei suoi articoli e discorsi egli andava dimostrando la necessità dell’adozione di una lingua unica nei consessi internazionali, definendo l’Esperanto «la più internazionale delle internazionali».
«I filologi obiettano che una lingua è un’elaborazione spontanea della natura attraverso una secolare evoluzione e perciò negano la possibilità di una lingua artificiale. Essi hanno torto per trentasei motivi, uno dei quali è sufficiente per troncare il dibattito, ed è che, dopo molti tentativi falliti, una lingua artificiale, completa in ogni sua parte fu creata, esiste e risponde al suo scopo. Essa è ormai una lingua vivente. Già la si scrive in un’ottantina di giornali, mensili e bimensili, che si pubblicano in ogni parte del globo; già la si legge in un migliaio di volumi tra letterari e tecnici; già la si insegna in centinaia di corsi ed in talune scuole pubbliche, ordinarie e commerciali, della Francia, dell’Austria, della Russia, del Brasile, ecc.; già la si parla da forse centomila persone di ogni paese, organizzate in millecinquecento gruppi o società».
Così scriveva in quegli anni sull’Avanti. Quasi tutti i suoi amici e parenti ricevettero in dono una grammatica della lingua con l’espresso invito a studiarla; noi stessi abbiamo visto uno di questi libri, regalato al cugino Prof. Rodolfo Morgari, con una entusiasta dedica autografa. Ma più interessante è vedere cosa pensava riguardo all’applicazione pratica dell’Esperanto. In un suo scritto dell’epoca si legge:
«Fra le cento e più associazioni internazionali esistenti nel mondo, rappresentanti un numero quasi uguale di correnti, interessi e di idee, l’Associazione Esperantista Universale è la più internazionale, anzi è la sola che meriti interamente questa qualifica. Per comprendere ciò basta assistere ad uno dei consueti congressi internazionali.
Vi trovate la prova dello stato inorganico, instabile della vita internazionale, anche fra uomini colti e sinceramente legati da una medesima fede. Nei locali del Congresso, inglesi, francesi, tedeschi, russi, italiani, si toccano coi gomiti. Sono stati elaborati minuziosi regolamenti per stabilire una perfetta uguaglianza di diritti fra i rappresentanti delle varie nazioni. Si sono imbandierate le sale con le insegne dei paesi rappresentati, in modo da non ferire nessuna suscettibilità. La presidenza si sforza di eliminare dalle discussioni gli incidenti che potrebbero violare le buone norme della cortesia internazionale. Senonchè possono prendere parte utilmente a questi congressi solo coloro che conoscono almeno una delle tre lingue di cui gli oratori hanno il diritto di servirsi: la francese, la tedesca e l’inglese. Ogni discorso pronunciato in francese, sarà tradotto in tedesco, poi in inglese, e viceversa, triplicando la durata dei lavori.
Non si dilegua la sensazione di «freddo» fra i convenuti delle diverse nazionalità. La stessa topografia dell’aula risente di questo stato di cose: ogni «sezione nazionale» si siede intorno ad un proprio tavolo distinto da un cartello. Qui c’è l’Italia, là c’è la Francia e più oltre la Russia. Finita la seduta, inglesi, francesi, tedeschi, italiani, russi, ecc. (non per malanimo, ma perché non potrebbero fra loro intendersi) si dirigono separatamente verso le rispettive trattorie e alberghi. Non si manifesta fra i congressisti delle diverse nazioni quello abbandono, quella confidenza che regna fra i congressisti di uno stesso paese. Inoltre i rappresentanti dei piccoli paesi si sentono umiliati. Chi conosce soltanto la propria lingua o poco più, si trova nel congresso nella condizione di un cane in chiesa. Ma che cosa esiste al disopra della nazione? Un momentaneo e sforzato affiancamento di uomini parlanti lingue diverse: ecco un congresso internazionale. Quando esso finisce, i convenuti si disperdono ai quattro venti, e fra i gruppi aderenti nelle varie nazioni cessa ogni rapporto. L’internazionalismo, come è praticato oggi, non può dar di più.
Gli esperantisti invece si scrivono e si parlano in Esperanto, lingua neutra, che è di tutti e di nessuno. Essi neppure si accorgono che chi parla o scrive è inglese o tedesco o cinese, se non dal francobollo o dall’ortografia del nome. Il cittadino d’un piccolo paese o d’una nazione minorenne, asiatica o africana, non si sente umiliato. Il cittadino di una grande nazione ha fatto sacrificio del proprio orgoglio campanilista. Tutti hanno l’impressione di far parte di un medesimo popolo, del «popolo terrestre». E l’ufficio centrale di Ginevra si dà cura di conservare all’organizzazione questo carattere neutrale».
Passarono gli anni e il pericolo di guerra si faceva sempre più imminente, malgrado gli sforzi dell’Internazionale Socialista. Oddino Morgari aveva finalmente una camera a Roma, ma tutti i mobili erano stati impegnati per aiutare il partito in lotta ed egli dormiva su alcune panche dell’anticamera.
Nel 1915, in piena guerra, volle prendere contatto con il centro dell’Associazione Universale di Esperanto, per vedere se, tra il naufragio degli internazionalismi, si era mantenuto sano. A Ginevra constatò con molta sorpresa che, non solo, non era stato intaccato moralmente dalla guerra, ma si era trasformato in un grande ufficio per la ricerca dei dispersi, distribuendo informazioni, raccolte a mezzo dell’Esperanto, in tutti i paesi belligeranti e rispondendo a tredicimila lettere al mese. La più internazionale delle internazionali funzionava a pieno ritmo, dimostrando ancora una volta l’utilità dell’Esperanto. Le sue impressioni su tale viaggio e i contatti avuti con il presidente Hodler dell’Universala Esperanto Asocio vennero raccolti in un opuscolo. Al ritorno scriveva:
« Il giorno in cui, non il bisogno, ma la consapevolezza del bisogno di una lingua neutrale, si sarà maturato nella coscienza dei popoli civili, avrà peso decisivo nell’animo dei governanti la considerazione che un corso di Esperanto della durata di un mese, introdotto nelle terze o nelle quarte elementari basti a far sì che le nuove generazioni d’ogni paese siano messe in grado di corrispondere fra loro in un idioma che si chiamerà planetario».
Nel 1924 la voce di Oddino Morgari, che non aveva mai cessato di alzarsi a favore dell’Esperanto, tacque, soffocata dall’amarezza dell’esilio.
Sono passati 23 anni, una dittatura ed una seconda guerra mondiale; ma l’Esperanto ha superato ogni prova; i centomila esperantisti di cui parlava Oddino Morgari si sono decuplicati, dimostrando che la lingua internazionale è una realtà pratica, vivente e trionfante perchè, come aveva scritto Oddino Morgari nel 1915:
«Se l’esperantlsmo è un’utopia – ciò che fermamente neghiamo – svanirà presto nel nulla in cui svanirono tanti altri tentativi di lingue artificiali».
Se l’Esperantismo fosse stato un’utopia non solo sarebbe morto, ma non avrebbe mai entusiasmato uomini come Oddino Morgari.
Gian Carlo Fighiera
(L’Esperanto 1951-10, luglio-agosto 1951, p. 60-62)