Il 14 agosto 1862 fu emanata la legge istitutiva della Corte dei conti del Regno d’Italia; per questo motivo, nel 2012 in tutte le sedi regionali della Corte (adesso, della Repubblica Italiana) ebbero luogo cerimonie per ricordare quel 150° anniversario.
All’epoca, io ero Presidente della Sezione di controllo per la Regione Friuli Venezia Giulia, con due sedi per motivi storici: a Trieste, già austriaca, italiana dal 1919; e ad Udine, già veneziana, poi austriaca, italiana dal 1866.
La situazione si presentava delicata, perché poteva sembrare singolare celebrare l’anniversario di una istituzione che, all’origine, non riguardava quella regione, tanto più che Trieste non ha dimenticato i suoi legami con l’Austria (né l’Austria i suoi legami con Trieste: non per nulla il Presidente della Corte dei Conti austriaca declinò l’invito a presenziare alla cerimonia di Trieste).
Bisogna aggiungere, poi, che durante il regime fascista gli sloveni di Trieste subirono discriminazioni e persecuzioni, ed in passato la Jugoslavia manifestò rivendicazioni territoriali su Trieste, mentre per converso i triestini non hanno dimenticato la sanguinosa occupazione jugoslava del 1945: tanto più, quindi, è da sottolineare che il giovane Presidente della Corte dei conti slovena, Igor Šoltes, non solo fu presente, ma presentò anche una sua relazione, nel quadro dei nuovi positivi rapporti instaurati dopo l’adesione all’Unione Europea (e forse anche per una maggiore apertura mentale verso una società che cambia).
Trascrivo la parte finale del discorso introduttivo che tenni il 3 dicembre 2012, ed aggiungo (ovviamente, in modo informale) la sua traduzione in Esperanto.
Allego:
– pag. 2 de “L’Esperanto” 1954-25, con la recensione dell’opuscolo in Esperanto “Al kiu Triesto?” (A chi Trieste?), edito dalla Lega Esperantista Slovena;
– il programma della manifestazione di Trieste del 3 dicembre 2012;
– una mia foto, scattata in quell’occasione;
– il francobollo italiano (bilingue) del 2009, su bozzetto di Anna Maria Maresca, per l’Accademia di Studi Italo-Tedeschi (Akademie deutsch-italienischer Studien) di Merano/ Meran, con i ritratti di Dante e di Johann Wolfgang Goethe (dalla lettura del mio discorso si comprenderà la giustificazione di questo allegato).
Trieste, 3 dicembre 2012
Mi sia consentita una considerazione di cui avverto la delicatezza, ma di cui sono fermamente convinto, anche per la mia storia personale di cultore della lingua Esperanto e dei suoi ideali.
Siamo in una terra che da sempre è stata luogo d’incontro, ma purtroppo anche di scontro, fra popoli di culture, di lingue, di religioni e confessioni diverse. Caduti i muri fisici, si tratta di far cadere anche le residue barriere spirituali, tanto più nell’ambito di una “comune casa europea”; e per raggiungere questo scopo la via maestra è “conoscersi”, per costruire insieme.
Mi è gradito, in proposito, citare quello che ebbe a dire il Presidente Sandro Pertini, in un discorso del 1982:
“Occorre moltiplicare a tutti i livelli le forme di contatto reciproco, per trarre il meglio dalle nostre comuni tradizioni e anche dalle nostre diversità, per il progresso e la pace di tutta l’umanità. Occorre insomma, conoscerci meglio.
Wolfgang Goethe, in una mirabile poesia, narra di due viandanti che in una notte senza stelle vanno fianco a fianco, e ognuno nasconde sotto l’ampio mantello una lucerna accesa, sicché l’uno avverte la presenza dell’altro, non dallo splendore della fiamma, ma dall’acre odore del fumo. Così accade nella vita per i singoli e per i popoli: gli uni avvertono la presenza degli altri solo attraverso il fumo acre delle polemiche e dei contrasti.
Se invece l’uno aprisse il suo animo all’altro, tutti constaterebbero che hanno le stesse esigenze e quindi le stesse aspirazioni. Non si sentirebbero estranei l’uno all’altro o peggio nemici, ma legati tutti allo stesso destino”.
Triesto, la 3-an de decembro 2012
(versio neoficiala)
Estu al mi permesata konsidero, pri kies delikateco mi konscias, sed pri kiu mi estas firme konvinkita, ankaŭ pro mia persona historio de fleganto de la lingvo Esperanto kaj de ĝiaj idealoj.
Ni estas en lando, kiu de ĉiam estis loko de renkontiĝo, sed bedaŭrinde ankaŭ de kunpuŝiĝo, inter popoloj laŭ diferencaj kulturoj, lingvoj, religioj kaj konfesioj. Post la falo de la fizikaj muroj, temas pri tio, ke oni faligu ankaŭ la restintajn spiritajn barojn, des pli en la kadro de iu “komuna eŭropa domo”; kaj por atingi ĉi tiun celon la ĉefvojo estas “sin koni reciproke”, por kune konstrui.
Mi ŝatas, pri tio, citi tion, kion diris la itala Respublika Prezidanto Sandro Pertini, en parolado de 1982:
“Oni devas multobligi je ĉiuj niveloj la formojn de reciproka kontakto, por ĉerpi la plejbonon el niaj komunaj tradicioj kaj ankaŭ el niaj diversecoj, por la progreso kaj la paco de la tuta homaro. Estas necese, sume, sin interkoni plibone.
Wolfgang Goethe, en mirinda poeziaĵo, rakontas pri du vojirantoj kiuj, en nokto senstela, iradas flank-ĉe-flanke, kaj ĉiu kaŝas sub sia ampleksa mantelo lumigitan lampon, tiel ke ĉiu sentas la ĉeeston de la alia, ne el la brilo de la flamo, sed el la akra odoro de l’ fumo. Same okazas en la vivo por la unuopuloj kaj por la popoloj: unu sentas la ĉeeston de la alia nur tra la akra fumo de la polemikoj kiaj de la malakordoj.
Se, kontraŭe, unu malfermus sian animon al la alia, ĉiuj konstatus ke ili havas la samajn bezonojn kaj do la samajn aspirojn. Ili ne sentus sin fremdaj inter si aŭ eĉ plimalbone malamikaj, sed ĉiuj ligitaj al la sama destino”.