Il 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, appuntamento annuale voluto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione (spesso non conosciuta o addirittura ignorata) dei milioni di rifugiati che, costretti a fuggire da guerre e violenze, lasciano la propria casa e tutto ciò che era parte della loro vita, per costruirsi un futuro dopo sofferenze ed umiliazioni.
Trascrivo il testo in italiano e la versione in Esperanto di una poesia del rifugiato iraniano Nemát Mirzazadeh pubblicata su “Espero katolika” 1992-3/4, ed allego:
– la versione (non ufficiale) in Esperanto di una preghiera pronunziata da Papa Francesco nell’isola greca di Lesbo il 16 aprile 2016 (testo italiano su
www.toscanaoggi.it/Documenti/Papa-Francesco/I-discorsi-nella-visita-a-Lesbo
- i francobolli (con il relativo annullo speciale) emessi nel 1960 dalle Poste Italiane per l’Anno mondiale del Rifugiato. L’immagine mostra un particolare dell’affresco di Raffaello ed aiuti, nei Palazzi Vaticani, sull’Incendio di Borgo (quartiere romano subito davanti la basilica di San Pietro) nell’anno 847. L’incendio si spense “miracolosamente” grazie alla benedizione del Papa dell’epoca, Leone IV. L’affresco utilizza figure classiche, paragonando l’incendio di Borgo a quello di Troia; e infatti le due persone riprodotte nei francobolli (dalla parte sinistra dell’affresco: v. l’immagine) sono Enea con l’anziano padre Anchise in fuga da Troia. L’affresco mirava, tra l’altro, a mettere in risalto il ruolo pacificatore del Papa, e l’accoglienza dei rifugiati.
Dell’incendio di Troia e della fuga da quella città parlano Virgilio nell’Eneide (in allegato: la copertina della versione in Esperanto di Henri Vallienne, 1906) e Dante nella Divina Commedia (Inferno I, 73-75):
Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d’Anchise che venne di Troia, poi che ‘l superbo Ilion fu combusto: Mi kantis pri la Ankizid’, senkrona veninta el la patrourbo Trojo, ĉar brulis for la gloro Iliona (trad. Wüster); Poeto estis mi, kaj kantis justan Ankizan filon el Trojo venintan, kiam fiera Ilion’ elbrulis (trad. Peterlongo); kantis mi, poet’, pri l’ pia homo, fil’ de Anĥizo, rifuĝint’ el Trojo, post brulo de l’ fiera Iliono (trad. Kalocsay); poet’, mi kantis pri la justa homo, fil’ de Anĥizo, forlasinta Trojon, post brulo de l’ fiera Iliono (trad. Dondi).
ASCOLTA QUESTO E NIENTE ALTRO
Così non guardarmi come un intruso.
Così non umiliarmi con il tuo sguardo.
Che cosa dunque credi? Tu niente sai
di me. Né da dove vengo,
né perché mi trovo nella tua patria.
La via che ho percorso
non l’ho percorsa certo per mia scelta.
Non pensare che, ospite indesiderato,
mi sia accostato alla tua mensa
per il profumo di un pezzo di pane.
In verità io non provai attrazione per la tua terra;
neanche il diluvio potrebbe sradicarmi dalla mia.
Prova allora ad immaginare che cosa sia successo
perché, contro la mia volontà, io approdassi alla tua terra.
Suppongo che tu non mi conosca.
Ebbene considerami un ospite di passaggio,
che neanche un attimo più del necessario
desidera trattenersi nella tua casa,
che in nulla, proprio nulla,
vuole attendere al tuo privato.
A fronte di tutte le tue aspirazioni,
neanche una manciata di paglia
io pongo sul piatto della bilancia.
Come fai, dunque a giudicarmi?
Anche per me esiste una patria
che ho amato più della mia vita.
Per anni ho sopportato croci lungo il cammino
nella speranza di migliorarla.
Solo le ondate dell’imprevisto e della sventura
mi hanno gettato sulla tua spiaggia.
Ma, ovunque mi trovo, nel mio petto
non sussiste altro che la mia patria.
Che cosa mai posso dirti perché tu sappia chi sono?
Dei miei avi tutto ignori.
Quanti canti immortali per lunghi secoli
essi hanno effuso sotto la cupola azzurra del cielo?
Quante immagini hanno impresso
nella memoria dell’universo?
Ma tutto ciò ti interessa davvero?
Questa storia – mi fai capire –
non ha niente a che vedere con la tua.
Quand’è così, allora, non chiedere più di me.
Lasciami nella mia solitudine con la mia sofferenza.
Sappi solo che anche per me esiste una patria
e che conto i giorni nell’attesa
che la via torni a spianarsi verso di essa.
Ascolta questo e niente altro: che al mio paese
l’ospite è caro quanto la propria anima.
Nemát Mirzazadeh
RIFUĜINTO
Tiel ne rigardu min, kvazaŭ ĝenulon.
Tiel ne hontigu min per via rigardo.
Kion do vi opinias? Nenion vi scias
pri mi. Nek de kie mi venas.
Nek kial mi troviĝas en via patrujo.
La vojon kiun mi trairis
certe mi ne trairis propraelekte.
Ne pensu ke, neŝatata gasto,
mi alproksimiĝis al via manĝotablo
pro la bonodoro de panpeco.
Vere, mi ne sentis allogon je via lando;
eĉ ne diluvo povus min elradikigi el la mia.
Provu do imagi, kio okazis,
tia ke, kontraŭvole, mi albordiĝis al via lando.
Mi konjektas, ke vi ne konas min.
Nu, taksu min preterpasanta gasto,
kiu eĉ ne momenton pli ol bezonate
deziras restadi en via hejmo,
kiu neniel, tute neniel, volas atenci
je via apartaĵo.
Fronte al ĉiuj viaj aspiroj,
eĉ ne manplenon da pajlo mi metas
sur la pesilon.
Kiel, do, vi povas min prijuĝi?
Ankaŭ por mi ekzistas patrolando,
kiun mi amis pli ol mian vivon.
Dum jaroj mi eltenis suferojn laŭ la vojo,
esperante ĝin plibonigi.
Nur la ondoj de hazardo kaj malfeliĉo
min ĵetis sur vian plaĝon.
Sed, kie mi ajn mi troviĝas, en mia brusto
plurestas nur la nostalgio je mia patrujo.
Kion do mi povas diri, por ke vi sciu kiu mi estas?
Pri miaj prapatroj ĉion vi nescias.
Kiom da senmortaj kantoj tra longaj jarcentoj
ili ellasis sub la blua kupolo de l’ ĉielo?
Kiom da bildoj ili gravuris
en la memoro de l’ Universo?
Sed ĉu tio vere interesas vin?
Ĉi tiu historio – vi komprenigas al mi –
havas nenion komuna kun la via.
Se tiel, do nenion plu demandu pri mi.
Lasu min en mia soleco, kun mia sufero.
Sciu nur, ke ankaŭ por mi ekzistas patrujo,
kaj ke mi sopire nombras la tagojn en la atendo
ke la vojo al ĝi denove estu glata.
Nur tion plue aŭskultu, kaj nenion pli: en mia Lando
gasto estas kara samkiel propra animo.
Nemát Mirzazadeh, irana rifuĝinto en Italio
el “Amicizia Studenti Esteri”
(periodaĵo de eksterlandaj studentoj en Italio)
el la itala trad. Antonio De Salvo
(el “Espero Katolika” 3-4/1992)