L’11 aprile è l’anniversario della morte (nel 1987) dello scrittore e poeta italiano (di origine ebraica) Primo Levi (1919-1987)
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Deportato ad Auschwitz il 22 febbraio 1944 (registrato con il numero 174.517), accettò di lavorare come chimico presso una fabbrica per la produzione di gomma sintetica di proprietà del colosso chimico tedesco IG Farben; liberato dall’Armata Rossa il 27 gennaio 1945 (fu uno dei soli 20 sopravvissuti dei 650 italiani arrivati con lui al campo), tornò in Italia con un viaggio lungo e faticoso.
Si impegnò quasi subito nel racconto delle atrocità viste e subite; ma il suo romanzo autobiografico Se questo è un uomo, divenuto poi un classico della letteratura mondiale, all’inizio non fu apprezzato: molti grandi editori (tra cui Einaudi) ne rifiutarono la pubblicazione, e alla fine fu pubblicato nel 1947 da un piccolo editore, peraltro con scarso successo (ne furono vendute soltanto 1.500 delle 2.500 copie stampate).
Nel 1956, incoraggiato dalla favorevole reazione del pubblico ad una mostra sulla deportazione ripropose il libro ad Einaudi; la nuova edizione incontrò un grande successo, tanto che nel 1959 fu tradotta in inglese e in tedesco, con la collaborazione dello stesso autore (alla versione in tedesco Levi teneva particolarmente, perché uno degli scopi del romanzo era proprio quello di far conoscere al popolo tedesco che cosa era stato fatto in suo nome e suscitare un senso di colpa).
Negli anni successivi pubblicò varie opere (romanzi e saggi); particolarmente interessante il saggio I sommersi e i salvati (1986), nel quale si chiese come mai alcuni siano sopravvissuti ad Auschwitz ed altri no, e cercò di analizzare la “zona grigia” di quegli ebrei che (come lui) si erano prestati a lavorare per i tedeschi, o addirittura a controllare gli altri prigionieri.
L’11 aprile 1987 venne trovato morto alla base della tromba delle scale della propria casa; non si è mai saputo se si sia trattato di una caduta accidentale oppure di un suicidio, conseguenza del tormento per il perdurante ricordo di Auschwitz.
È sepolto a Torino, sua città natale, nel campo israelitico del Cimitero monumentale (sebbene non fosse religioso, e fosse diventato ancor più ateo dopo l’esperienza di Auschwitz).
In Esperanto sono apparse le traduzioni di queste poesie:
– “Dateci” (Donu al ni), trad. Battista Cadei, in “Espero katolika” 1985-7/8;
– “Se questo è un uomo” (Ĉu ĉi tiu estas viro), trad. Luigi Tadolini, da non confondere con l’omonimo romanzo, in “L’Esperanto” 2005-3, p. 7;
– Scacchi (Ŝakoj), trad. Vincenzo Corvi.
Trascrivo Scacchi (Ŝakoj), in italiano e in Esperanto, ed allego:
– il francobollo emesso dalle Poste Italiane nel 2012 per il 25° anniversario della morte, con l’annullo speciale di Torino;
– la pagina 128 di “Espero Katolika” 1906-29 (giugno 1906), con una partita di scacchi.
SCACCHI
Solo la mia nemica di sempre,
l’abominevole dama nera
ha avuto nerbo pari al mio
nel soccorrere il re inetto.
Inetto, imbelle pure il mio, s’intende;
fin dall’inizio è rimasto acquattato
dietro la schiera dei suoi bravi pedoni,
ed è fuggito poi per la scacchiera
sbieco, ridicolo, in passetti impediti;
le battaglie non son cose da re.
Ma io!
Se non fossi stata io!
Torri e cavalli sì, ma io!
Potente e pronta, dritta e diagonale,
lungiportante come una balestra,
ho perforato le loro difese;
hanno dovuto chinare la testa
i neri fraudolenti ed arroganti.
La vittoria ubriaca come un vino.
Ora tutto è finito,
sono spenti l’ingegno e l’odio,
una grande mano ci ha spazzati via,
deboli e forti, savi, folli e cauti,
i bianchi e i neri alla rinfusa, esanimi,
poi ci ha gettati con scroscio di ghiaia
dentro la scatola buia di legno
ed ha chiuso il coperchio.
Quando un’altra partita?
Primo Levi
ŜAKOJ
Mia ĉiama malamikino nur,
la abomeninda nigra damo,
egalis mian forton
en la prizorgo de sia nekapabla reĝo.
Nekapabla kaj malkuraĝa ankaŭ la mia,
kompreneble:
ekde la komenco li restis kaŝita
malantaŭ siaj bravaj peonoj,
kaj fuĝis poste laŭ la ŝaktabulo
oblikve, ridinde, per malfirmaj paŝoj;
bataloj ne estas por reĝoj.
Sed mi!
Se mi ne ĉeestintus!
Turoj kaj ĉevaloj, jes, sed mi!
Potenca kaj preta, rekte kaj diagonale
longeportanta kiel balisto,
mi traboris liajn barierojn;
ili devis klini la kapon,
la trompemaj kaj arogantaj nigruloj.
La venko ebriigas kiel vino.
Nun ĉio finiĝis, estingitaj talento kaj malamo.
Granda mano forpuŝis nin,
feblajn kaj fortajn, saĝajn, malsaĝajn kaj singardemajn,
blankajn kaj nigrajn intermiksite, senanime.
Poste, kun muĝado de gruzo,
ĝi nin ĵetis en la malluman lignoskatolon,
kaj fermis la kovrilon.
Kiam alia partio?