Il 12 marzo è l’anniversario della nascita (nel 1863) a Pescara, Abruzzo, di Gabriele D’Annunzio (1863-1938), poeta, scrittore, combattente e politico
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delle cui opere in poesia e in prosa esistono in Esperanto così tante traduzioni (oltre che nella “Itala Antologio” e in “Tutmonda sonoro”, ecc.) che nel 2013 Carlo Minnaja ci ha fatto un libro.
Oggi non presento le sue opere migliori, ma mi limito ad un frammento di una poesia di carattere “bellico”, che parla di una delle sue numerose imprese che rasentavano l’esibizionismo, la cosiddetta “Beffa di Buccari”: l’ardita incursione nella rada istriana di Buccari (all’epoca austroungarica, oggi Bakar in Croazia), durante la prima guerra mondiale, con dei piccoli motosiluranti
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Allego:
– la copertina del volume di Carlo Minnaja, ed. EVA 2013 (Amerigo Iannacone) (www.edizionieva.com );
– la foto della prima pagina de “L’Esperanto” 1938-3 (marzo 1938), con l’articolo che parla della morte di D’Annunzio;
– il frammento “La beffa di Buccari” (da “la canzone del Quarnaro), in italiano e nella versione in Esperanto di “Lumi” (Luigi Minnaja), intitolata “La Moko de Buccari”, che si intravvede nella stessa pagina de “L’Esperanto”;
– l’immagine di un francobollo del 1963, uno dei molti dedicati a D’Annunzio dalle Poste Italiane.
Aggiungo una curiosità.
È opinione comune che il grido “Eja Eja”(ripetuto nella poesia sulla Beffa di Buccari) sia stato “inventato” da D’Annunzio, e adottato dal fascismo; però è interessante vedere nella Bibbia il salmo 40, verso 15/16, tradotto, nella versione CEI, come segue: Siano presi da tremore e da vergogna quelli che mi scherniscono.
Ma il testo ebraico è molto più incisivo, perché (tradotto) dice: Restino delusi nella loro vergogna quelli che mi dicevano «Ah, ah…!».
Del resto, anche in latino la Nuova Vulgata dice correttamente: Obstupescant propter confusionem suam, qui dicunt mihi: “Euge, euge”.
E la versione in Esperanto curata da Ludovico Zamenhof, altrettanto correttamente, dice: Teruritaj estu de sia honto tiuj, kiuj diras al mi: Ha, ha!
Ebbene: la traduzione italiana di Giovanni Diodati (1649, quindi di molto anteriore a D’Annunzio e al fascismo) diceva: Quelli che mi dicono: Eia, eia! Sieno distrutti, per ricompensa del vituperio che mi fanno.
Dove si scopre che, almeno in una certa epoca della lingua italiaan, “eia eia” non era un grido di trionfo, ma di scherno. Chi sa se lo sapevano quelli che gridavano fieramente “eia eia, alalà!”.
Antonio De Salvo
Da “La Canzone del Quarnaro”
LA BEFFA DI BUCCARI
Siamo trenta d’una sorte,
e trentuno con la morte.
Eia, l’ultima! Alalà!
Siamo trenta su tre gusci
su tre tavole di ponte:
secco fegato, cuor duro,
cuoia dure, dura fronte,
mani macchine armi pronte,
e la morte a paro a paro.
Eia, carne del Carnaro!
Alalà!
Con un’ostia tricolore
ognun s’è comunicato.
Come piaga incrudelita
coce il rosso nel costato,
ed il verde disperato
rinforzisce il fiele amaro.
Eia, sale del Quarnaro!
Alalà!
Tutti tornano, o nessuno.
Se non torna uno dei trenta
torna quella del trentuno,
quella che non ci spaventa,
con in pugno la sementa
da gittar nel solco avaro.
Eia, fondo del Quarnaro!
Alalà!
Gabriele D’Annunzio
El “La kanzono de Karnaro”
LA MOKO DE BUCCARI
Ni estas tridek el samsorto,
tridekunu kun la morto.
Eja, lasta! Alalà!
Ni estas tridek sur tri ŝeloj,
sur tri lignoj de pontono:
hepat’ seka, dura koro,
haŭto dura, dura frunto;
pretaj man’, armil’, motoro,
kaj la mort’ en sama faro.
Eja, karno de Karnaro!
Alalà!
Per hostio trikolora
ĉiu ja komuniiĝis.
Kvazaŭ vundo ĉiam freŝa
ardas ruĝo ĉe l’ rip-aro,
donas verdo malespera
forton pli al gala amaro.
Eja, salo de Karnaro!
Alalà!
Ĉiuj reen, aŭ neniu.
Se la tridek ne revenas,
reen la tridekunua,
kies timo nin ne prenas,
kun en mano semo plua,
alĵetota al sulka avaro.
Eja, fundo de Karnaro!
Alalà!
Gabriele D’Annunzio, trad. Lumi (Luigi Minnaja)
(el “L’Esperanto de FEI” 3/1938)